venerdì 6 febbraio 2009
La nascita della tragedia
Lungi da me voler fare una trattazione esaustiva di quest'opera non avendone né la volontà né gli strumenti, mi accingo solo ad esporre osservazioni in ordine sparso.
Un concetto a me caro è quello secondo il quale nell'arte si cerca se stessi, ma noi siamo noi stessi anche prima di ritrovarci nell'arte, quindi in qualche misura nell'arte non si crea niente. Questa, nella seconda parte, potrebbe sembrare la posizione di Platone riguardo la terza generazione, ma non lo è, almeno secondo me. Per spiegare questa mia posizione parto da pag 107 dove Nieztsche cita Shopenhauer chiedendosi in quale rapporto la musica stia con l'immagine e con il concetto. Ecco il passo"Possiamo considerare il mondo apparente, o natura, e la musica come due diverse espressioni della stessa cosa, la quale quindi costituisce la sola mediazione per l'analogia tra queste due espressioni.... La musica dunque, quando è considerata come espressione del mondo, è un linguaggio in sommo grado universale, che sta rispetto all'universalità dei concetti nello stesso rapporto in cui questa sta rispetto alle singole cose..." ancora a pag 42 "Invece le immagini del lirico non sono nient'altro che lui stesso e per così dire solo diverse oggettivazioni di lui ed è per questa ragione che egli, come centro motore di quel mondo può dire io".
Da notare , però, che l'io di cui parla non è l'io dell'uomo(da lui definito) empirico reale, è l'unico io veramente sussistente ed eterno, riposante sul fondo delle cose, e attraverso le cui immagini il genio lirico penetra con lo sguardo fino al fondo delle cose, e fra queste immagini lui può scorgere anche se stesso. Mi sembra chiaro che qui ci sia un superamento di quanto si dice nella Repubblica, portando la lirica ad un livello eguale e alternativo rispetto a quello della natura. Parlando di questo sostrato mi vorrei ricollegare ad un'immagine bellissima a pag 55 dove Amleto è accostato all'uomo dionisiaco, dove si dice che entrambi hanno gettato uno sguardo nell'essenza delle cose e provano nausea di fronte all'agire; giacché la loro azione non può mutare nulla nell'essenza eterna delle cose, ed essi sentono come ridicolo o infame che si pretenda da loro che rimettano in sesto il mondo che è fuori dai cardini(mi viene quasi da dire la potenza del nichilismo).
Precedentemente si è parlato della muisca, ma a mio modo di vedere (Schopenhauer mi perdoni) il discorso si può estendere a quasi tutti i tipi di arte, come ad esempio al cinema. Mi viene in mente un passaggio di un film di Aronofsky( pi greco-teorema del delirio) in cui il protagonista afferma dopo aver fissato per alcuni secondi il sole"Per un momento vidi e capii".
Per concludere cito testualmente l'insegnamento di Sileno.
"L'antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: 'Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto."
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