sabato 31 dicembre 2011

Foetus - Time Marches On



I guess my time is now....

mercoledì 14 dicembre 2011

Ipocrisia

Era ancora troppo giovane per sapere  che la memoria del cuore elimina i brutti ricordi e magnifica quelli belli, e che grazie a tale artificio riusciamo a tollerare il passato. (L'amore ai tempi del colera, Gabriel Garcìa Màrquez)


Nonostante questo romanzo mi abbia fatto cag.... (indovinate il resto), è proprio vero che in relazione a determinati situazioni eliminiamo le componenti sgradevoli, spesso legate a nostre mancanze, viltà, cattiverie o bassezze o più in generale a nostri comportamenti che ci fanno sentire persone peggiori, per fingere di credere di essere persone migliori, anzi a volte credendolo davvero, proprio come dei veri maestri del bispensiero.

sabato 10 dicembre 2011

Parenti?


Contro ogni becero e blasfemo accostamento tra Cristo e gli Zombie.


P.S. Ringrazio Conte Nebbia per avermi indirizzato verso il libro di David J. Skal "The Monster Show"

giovedì 3 novembre 2011

Contro l'assenza della sigla

Ultimamente ho guardato un film di Tarkovskij, uno di Cronenberg e, come al solito, sto seguendo molte serie tv; cosa c'entrano tra loro? Niente, o tutto.
Come mi piace pensare, dipende sempre dalla volontà di chi guarda il trovare dei nessi nelle visioni, letture o ascolti che si effettuano. Nessi che se oggettivamente non esistono (chi può dire però cosa sia oggettivo?), una volta nati nella mente di qualcuno e poi condivisi (purtroppo questo spesso dipende dall'autorità di quel qualcuno) possono materializzarsi nella realtà intorno a noi. D'altra parte però, se così fosse, si potrebbe dire che se qualcosa esiste in potenza, be' allora già esiste.
Passando ai nessi in questione, in questo film di Cronenberg si usa il contenuto di alcuni filmati per (diciamo così) permettere ad un certo segnale di penetrare nella mente delle persone: quello che predispone le persone, però, è solo il contenuto ( video di tortura o snuff nel caso in questione). Come dire, guardare qualcosa può influire sul nostro stato mentale o, comunque, sulla nostra interiorità. Ma facciamo un passo ulteriore: ho citato Tarkovskij perché una sua famosa citazione (di cui sono venuto a conoscenza tramite questo blog) recita così:"Il cinema è l'arte di scolpire il tempo".
Ora, prescindendo dal discorso sottostante questa citazione, a mio parere la cosa che ci rapporta col tempo, che ci mette in relazione con esso è la nostra coscienza.
Ma veniamo infine al terzo elemento, le serie tv. Sei il cinema si relaziona con il tempo e quindi con le nostre coscienze, le serie tv fanno lo stesso creando però a mio avviso legami ancora più forti, più profondi, anche se i contenuti delle stesse risultino talvolta più superficiali (a volte solo apparentemente). Forse questo è dovuto semplicemente al maggior tempo necessario per seguire una serie, o magari al diverso ritmo che caratterizza i programmi seriali, fatto sta che ogni nuova puntata è una piccola esperienza che ha la parvenza del rito. Ritualità che è facilitata dall'unico elemento comune a tutte le puntate di una serie, la sigla iniziale; è la sigla che apre ogni puntata, che apre un primo corridoio nella nostra coscienza attraverso il quale fluiscono i racconti e le immagini successivi. Per questo motivo penso sia motivo di debolezza l'assenza di una sigla meritevole, oppure una sigla sciatta o priva di accompagnamento musicale.
Per fare qualche esempio di sigla che riesce a catapultare la (mia) coscienza nella dimensione del racconto in questione:




Cioè, minchia...

venerdì 19 agosto 2011

I Soprano


Fini in merito ai Soprano "Gli italoamericani sono una forza positiva e nessuna serie può cancellarlo".
A sentir le parole di questo statista sembrerebbe che "I Sorano" non siano altro che una serie che cerca di trarre profitto da stereotipi consumati in maniera gretta e volgare; e se lo dice l'oppositore di Berlusconi "non per interesse ma per principio" (e non credete alle malelingue che dicono il contrario), noi non possiamo che essere d'accordo.
Totalmente d'accordo, anche se c'è chi dice che questa serie è qualcosa in più, anzi, qualcosa di completamente diverso. Una serie che solo apparentemente parla di malavitosi italo-americani, ma che in realtà parla dell'intera società americana. Attraverso il racconto di questa cosca mafiosa del New Jersey e catapultandoci nel fantastico mondo di Tony Soprano, si affrontano svariati temi tra i quali il più interessante è senza dubbio quello del "sogno americano", per così dire. Già dalla prima puntata si capisce quale sia uno dei malesseri del protagonista, malessere di un'intera generazione: una generazione più ricca e agiata della precedente ma che al contrario di quest'ultima non ha più prospettive di crescita o miglioramento, non ha più prospettive, se non quella del vuoto, che inizia ad affacciarsi come il più inquietante degli ospiti, per dirla alla Nietzsche sul nichilismo. Il riferimento a Nietzsche non è casuale, in quanto le sue opere sono citate più volte nel susseguirsi degli episodi. Nemmeno la metafora mafiosa è casuale (almeno secondo me), infatti per descrivere questo fenomeno di mancanza di obiettivi, di fine un'epoca si utilizza proprio un genere tra i più epici straordinari del cinema, cinema che a sua volta è stato lo specchio (se non qualcosa in più) di questa società in crescita (non solo economica) che diventava sempre più forte e potente che è addirittura riuscita a sconfiggere il nemico sovietico; per questa generazione i problemi iniziano anche da qui, dalla mancanza di un metro di paragone, di un opposto contro cui rivaleggiare direttamente senza il quale subentrano spaesamento e un tipo diverso di paura fino al bisogno di arrivare a crearsi ( a prescindere dal loro essere veri o presunti) nuovi nemici (non credo sia casuale l'ossessione di Tony per i terroristi).
Come non parlare poi della magnifica descrizione tridimensionale del protagonista, descrizione che ci fa tifare per lui in ogni situazione, nonostante sia un mafioso fino all'osso.
Per concludere potremmo notare che il cerchio si chiude perfettamente: si usa la metafora italo-americana per descrivere questo venir meno di orizzonti, metafora che con la sua epica aveva reso grande il cinema, cinema che non era solo specchio della società ma vero e proprio cavallo di battaglia in quanto creatore si simbolo e di mito per il resto del mondo, fino all'ultima puntata volutamente ambigua che non fornisce risposte sul futuro del protagonista e lascia tutto in sospeso.


mercoledì 29 giugno 2011

martedì 31 maggio 2011

Una risata vi seppellirà


Di solito non sono mai sul pezzo, nel senso che raramente scrivo di attualità, però ultimamente nella città dove vivo è successa una cosa "curiosa". Cosa? Semplicemente ci sono appena state le elezioni comunali dove tutti sanno come sono andate le cose. La cosa curiosa riguarda quello che è successo tra il primo turno ed il ballottaggio, almeno secondo me.
La cosa che trovo curiosa è che tra il primo ed il secondo turno il candidato del centro-sinistra non ha perso voti; e perché avrebbe dovuto? Be' perché una tattica molto collaudata quando non si ha niente da dire è quella di creare (e badate ho detto creare, non individuare) un nemico e di attaccarlo con tutte le tue forze: nel caso specifico (politica italiana), quando esiste un avversario con cui confrontarsi e non si hanno argomenti, allora si fa vestire loro i panni di nemici immaginari e li si attacca con tutte le forze non in quanto avversari, ma per via di questo "travestimento" forzato (comunisti, 20 anni dopo... nel nostro caso).
Ecco a Milano è successa più o meno la stessa cosa, hanno cercato di costruire una figura fittizia candidato Pisapia per attaccarlo e fare leva sugli umori più bassi degli elettori.
Risultato? Questa volta mi sento di dire che la tattica ha miseramente fallito; ha fallito soprattutto perché qualcuno è stato molto intelligente facendo dell'ironia sulla cosa, scherzando, prendendo poco sul serio tutta la macchina del fango.
Questa forse è la prima volta che della "satira" aiuta un candidato di centro-sinistra in maniera effettiva. Non perché prima non ce ne sia stata, anche palesemente orientata, ma perché in passato spesso questa si concentrava sull'avversario e non sul "proprio" candidato (proprio è un termine scorretto, lo uso solo per far passare il concetto...la satira non appartiene ai candidati e viceversa), soprattutto non si concentrava sulle critiche e accuse rivolte ad essi.
Una cosa che forse è stata capita solo da una parte dello schieramento politico. Vi ricordate ad esempio il "cavaliere mascarato"? o tutta quella pseudo-satira che veniva fatta sulle reti mediaset "contro" il presidente Berlusconi in modo che lui potesse vantarsi di essere liberale e benevolo ma soprattutto in modo che si potessero liquidare con una risata bonaria tutti i suoi peccatucci (non i peccati, per quelli rischiavi di non lavorare più). Io ricordo solo che ero alle medie, guardavo la tv e Lui mi stava simpatico....
Ora è ovvio che la vittoria non sia dovuta solo a questo, anzi. Credo che il merito sia soprattutto personale. Quello su cui volevo porre l'accento è come questo meccanismo di ironia abbia influito, modificato e forse addirittura invertito un dinamica che comunque non avrebbe permesso alla Moratti di vincere, dinamica che però in passato ha funzionato fin troppo bene e, che purtroppo continuerà a funzionare.



lunedì 23 maggio 2011

Kartner strasse

L'idea per questo post mi è venuta in seguito ad alcune considerazioni fatte con una "compagna" mentre passeggiavamo per Kartner strasse. Kartner è il corso che collega Karlsplatz, sede dell'opera, a Stephansplatz dove si trova la cattedrale di Santo Stefano. Ovviamente parliamo di Vienna.
Potremmo quasi paragonarlo al nostro Vittorio Emanuele (il corso); in verità il parallelo non è casuale, in quanto le nostre considerazioni vertevano proprio su quanto quel corso ci ricordasse il più famoso (per noi) corso milanese. Questo non perché avessero qualcosa in comune da un punto di vista architettonico (magari si, ma non ce ne siamo accorti), ma perché i nostri occhi coglievano elementi comuni che se decontestualizzati era impossibile collocare nell'uno o nell'altro corso.
Sto parlando semplicemente di negozi ( o catene di negozi). Si dirà va be', è normale trovare gli stessi negozi in città diverse, è ovvio che grandi catene scelgano mete turistiche per locare propripunti vendita. Certo, però per me la questione è un po' più complicata di così, se non nelle intenzioni, sicuramente negli effetti.
Il fatto di avere gli stessi punti di riferimento in luoghi molto distanti fra di loro non può essere considerato prescindendo dalla magnitudine del fenomeno; soprattutto se questi punti di riferimento non sono casuali ma sono pensati per avere una presa diretta sulle coscienze (i marchi sono fatti per attirare o, comunque, non sono certo neutrali). Ora una massiccia esposizione ad elementi volti ad occupare zone all'interno della nostra persona (occupare non è scelto a caso) situati in luoghi magnifici come questi ci porta oltre che ad associare momenti vissuti, ricordi ecc.... con quei negozi (non riesco a pensare alle cose vissute lì senza avere sullo sfondo alcuni nomi di negozi), anche a creare uno spazio immaginario in cui questi simboli si emancipano dalla loro sede fisica e sono elemento centrale di questo spazio ( non credo sia casuale che il premio oscar come miglior corto d'animazione nel 2010 sia stato dato a "Logorama").
Un'operazione biologica, nella sua accezione più ampia; biologica perché non è semplicemente commerciale, ma riguarda l'esistenza della vita umana nella sua totalità e, non solo nel suo aspetto economico (come se si potesse parlare di lato economico a se stante in generale).
Per far maggior chiarezza ( o confusione) mi vengono in mente due riferimenti: il primo è un intervento di Brian Holmes nel libro "L'arte della sovversione" (manifestolibri) in cui afferma " la Nike opera la trasformazione dello spazio urbano a sua immagine e la creazione di parametri esistenziali all'interno dei quali questo spazio deve essere esperito".
Il secondo riferimento riguarda uno splendido film di Wim Wenders, "nel corso del tempo", di certo il mio film preferito del regista tedesco. Durante il suo vagare, il protagonista non fa che notare scritte della coca-cola e riferimenti alla cultura americana, fino a quando in un dialogo esclama "l'America ci ha colonizzato l'inconscio". In questo caso non l'America, ma negozi di abbigliamento.








sabato 19 febbraio 2011

Passeggiare a Milano

Un paradosso.
Un sabato stavamo passeggiando in via Torino, giusto per stare un po' all'aria aperta, prendere un gelato e banalità del genere. Purtroppo ci siamo subito resi conto del fatto che la questione era più pericolosa di quanto non sembrasse: persone che ti tagliavano la strada, che per sorpassarti ti davano spallate e, ovviamente ti guardavano male; il fatto è che gli altri camminavamo ad una velocità doppia rispetto alla nostra. Ora, se fosse stato un mercoledì mattina e se la gente fosse dovuta andare al lavoro, ok capisco la fretta, ma dove doveva andare tutta questa gente di sabato alle cinque del pomeriggio?
Il problema, credo, non è il perché si esce, ma il modo in cui ci si rapporta alle cose.
"Devo fare in fretta perché poi dopo non posso fare questo", "Devo correre che dopo arriva tizio", o più in generale "Tra un mese finalmente...", o il classico "Non vedo l'ora che... vorrei che fossi già lì"... (questo pensiero io lo faccio sempre con la pensione...). Per cercare di sintetizzare, potremmo dire che lo sbaglio stia nel continuo proiettarsi in avanti attuato da noi stessi, individuando sempre nell'orizzonte qualche evento importante che dia un taglio diverso la nostro futuro, anche in materia futile. Questo proiettarsi in avanti verso eventi futuri (a prescindere dall'importanza degli stessi) ci fa mettere da parte la nostra vita oggi, ce la fa dimenticare e in poche parole non ce la fa vivere. Io, però, ribalterei il problema. Non siamo noi che ci proiettiamo in avanti verso eventi importanti e di seguito non riusciamo a vivere "l'adesso", ma bensì siamo noi che non riuscendo a fare i conti (sul serio) con la nostra vita ora, facciamo finta di niente e guardiamo avanti. Infatti il proiettarsi non dipende dall'evento, è un atteggiamento che viene prima di una qualche specificazione, è solo una sorta di spinta in avanti. Infatti chi vive aspettando, una volta giunto l'evento non potrà fare a meno di guardare alla prossima "scadenza", perdendosi ogni volta quello che intanto succede (o potrebbe succedere).
Forse basterebbe solo un po' più di onestà con noi stessi e la capacità di accettare quello che ci succede ma soprattutto di capire che il 99% dei nostri problemi non sono altro che fisime.

giovedì 10 febbraio 2011

Hanno

Vorrei dormire e non saperne più niente... Non so volere.

martedì 8 febbraio 2011

Morte di Thomas Buddenbrook

Se avrete la pazienza di leggere queste poche righe tratte dal romanzo di Thomas Mann, condividerete con me l'idea che siamo di fronte ad uno dei pezzi più alti di tutta la letteratura mondiale ( dichiarazione impegnativa, lo ammetto)

Gennaio 1875, intorno al letto di morte di Thomas Buddenbrook

"Comparve infine Chrisitian. Mentre era al circolo aveva ricevuto la notizia della caduta del senatore ed era venuto via subito. Ma per paura di qualche spettacolo raccapricciante aveva fatto una lunghissima passeggiata fuori porta, sicché nessuno lo aveva potuto trovare. Si decise infine a rientrare, e nel vestibolo seppe che suo fratello era già spirato.
- Ma non è possibile! - egli disse, e salì zoppicando le scale, con occhi spiritati.
Fra la sorella e la cognata s'avvicinò al letto di morte. E lì stette, col suo cranio calvo, con le guance scavate, coi suoi baffi penduli, col suo nasone gibboso, ritto sulle gambe sottili e storte, un po' insaccato, un po' simile a un punto interrogativo; e i suoi occhietti infossati fissavano il volto del fratello che appariva così muto, freddo, alieno e inoppugnabile, così inaccessibile ad ogni giudizio umano... Gli angoli della sua bocca erano rivolti all'ingiù, con un'espressione quasi sdegnosa. - Tu non piangerai alla mia morte,- gli aveva rinfacciato Christian; e ora invece era morto lui, morto semplicemente, senza dure una parola, si era ritirato nel silenzio, signorile e intangibile, e come tante volte nella vita abbandonava spietatamente l'altro a una cocente umiliazione! Aveva agito bene o male opponendo sempre un freddo disprezzo alle sofferenze di Christian, al tormento, all'uomo sul divano, alla bottiglia di spirito e alla finestra aperta? Questo quesito cadeva, non aveva più senso, poiché la morte con parzialità capricciosa e imprevedibile aveva distinto e giustificato lui, lo aveva accettato e accolto e reso oggetto di venerazione procurandogli a forza il reverente interesse di tutti, mentre disdegnava Christian e avrebbe continuato a beffarlo con cento angherie e canzonature che non incutevano rispetto a nessuno. Mai Thomas Buddenbrook aveva ispirato tanta ammirazione al fratello come in quell'ora. Il successo è ciò che conta. Il rispetto degli altri per le nostre sofferenze ce lo procura soltanto la morte, che nobilita anche le sofferenze più meschine. -Hai avuto ragione tu, io m'inchino -, pensò Christian, e con un movimento rapido e goffo piegò il ginocchio e baciò la mano fredda sulla trapunta. Poi si alzò e cominciò a girare per la stanza con occhi irrequieti."

martedì 1 febbraio 2011

compendio filosofico

Marx reclama il fuorigioco

venerdì 28 gennaio 2011

Stylish




Innanzitutto ringrazio moderatemente ottimista per questo premio stranamente meritato, dato che io e lo style in generale non andiamo molto d'accordo.

In genere se ricevo un premio non gli do molto peso (sembra una cosa usuale, ma se non erro è la seconda volta), è sempre un qualcosa che rafforza il tuo ego e, di cose che rafforzano l'ego ne vorrei davvero fare a meno; però in questo caso la cosa mi ha divertito alquanto, per via del suddetto rapporto con lo style, quindi adempierò ai miei obblighi.
Ora dovrei premiare altri dieci blogger e dire 7 cose di me.
Iniziamo con le 7 cose di me:

1) ci sono tre episodi nella mia vita che mi hanno rovinato per sempre: topolino, la nascita della tragedia, la scoperta della blogosfera

2)non ho mai fumato in vita mia (nulla), ma in compenso bevo quasi tutti i tipi di alcolici; sono un grande fan del Laphroaig, intenso whisky scozzese

3)per confermare il punto due, sono un discreto giocatore di "padrone e sotto"

4)non ho mai avuto problemi con la legge, tranne quando i carabinieri mi sequestrarono il motorino, stavo andando a scuola e, i carabinieri mi accompagnarono fino all'entrata: dopo il danno, la beffa

5)anche se è un po' fuori contesto, ho odiato profondamente jules e jim

6)nonostante ne assuma gli atteggiamenti e le pose, non sono e non sarò mai un cinefilo, ma solo un (infinitamente) appassionato di cinema; essere è impegnativo, essere qualcosa con dei comportamenti da rispettare ancor di più

7)per spiegare in parte il punto 6, la mia pigrizia è talmente smisurata che una commissione di cardinali ha ritenuto questa mia "virtù" meritevole di essere definita biblica; e poi l'ozio è padre di tutti i vizi, ma il vizio è padre dell'arte, o no?

Ora passiamo ai blog, sono un po' meno di dieci, ma va bene lo stesso:

moderatamente ottimista, da poco e spero non per poco

il teatro dei vampiri, per celebrare il ritorno del conte: Lugosi is Undead

cinemasema, ogni premio è d'uopo per questo blog

tramonti a nord est, lo stile nel carattere o, il carattere nello stile

le luci della sera, con quello sfondo magnifico e le immagini di Twin Peaks, non poteva non rapirmi

eyes wide ciak, quando guardi una videorecensione con una ragazza che indossa un cappellino che lampeggia, la prima cosa che pensi è "che stile"!

sabato 22 gennaio 2011

Dexter

"Ora scrivo un bel post su Dexter" e, mi sono ritrovato a pensare che nelle intenzioni questo blog doveva parlare d'altro, ma se ripenso a cose scritte ieri quasi mi vergogno (quasi eh!); forse è così un po' per tutti, ma credo proprio che prenderei a schiaffi il me stesso del passato, per la sua illusione, per la sua superficialità, per la sua ingenuità, per il suo essere immaturo ma soprattutto per l'opacità con cui vedeva le cose. Poi però penso che quel me stesso è padre del me stesso di adesso, cioè di quello di un secondo fa, anzi di quello che ha iniziato a scrivere questo post (lo so è poco divertente)e mi riappacifico con me stesso; o meglio io sono diretta conseguenza di quell'altro io; ma questo è ovvio. Inoltre non sono poi tanto sicuro di essere migliore del me stesso passato, o che la lucidità si sia sviluppata in modo lineare nel corso del tempo, magari ci sono stati periodi in cui le cose mi erano più chiare di adesso. Allora perché non me ne rendo conto? Forse perché la percezione è ora, ed ora soltanto; un po' come l'egocentrismo: in qualche crediamo di venire prima degli altri, ma questo è ovvio perché il mondo lo vediamo prima di tutto con le nostre lenti, la nostra percezione è mediata e influenzata da noi stessi e, questo, senza rendercene conto(non sempre, per fortuna). Ecco questo fenomeno credo si possa applicare anche al ricordo dei noi stessi del passato: come già detto la percezione è influenzata dai pensieri di oggi, dagli stati d'animo attuali, ma cosa più importante, per il sol fatto di percepire ora e di non riuscire a percepire il prima, permette che la mancanza di percezione del prima ci renda quasi ostili i noi stessi passati e ci mette in una situazione di privilegiata. Potrei coniare un nuovo termine, un neologismo per questo fenomeno, quello del favorire il noi stesso presente rispetto a quello passato per via del ruolo della percezione. Potrei chiamarlo egocronocentrismo, però accetto suggerimenti.

Dopo questo breve divertissement parliamo d'altro. Parliamo di Dexter. L'ho letteralmente divorato: in un periodo in cui dovevo preparare gli esami, uscire qualche volta per vedere persone che non vedevo da tanto e festeggiare natale, capodanno ecc... mi sono sparato tutte e cinque le stagioni in poco meno di due settimane. Ciò credo sia già indice di quanto mi sia piaciuto.
Mettiamo in chiaro una cosa, la mia stagione preferita è la seconda( sono in minoranza, lo so), ma sono stato rapito da tutta la serie; forse la terza è quella più debole per via di quel goffo di Miguel Prado.
Cerchiamo ora, per quanto possibile, di fare un discorso organico.
Prima di tutto di cosa parla Dexter? di un serial killer che di giorno lavora per la scientifica di Miami (e mi raccomando, non il contrario, cioè un tecnico della scientifica che di notte fa il serial killer), come ematologo. Ovviamente quella dell'ematologo non è una semplice copertura, ma in qualche modo è espressione dell'essere del protagonista, che possiamo dire nato letteralmente nel sangue. Proprio questo suo nascere nel sangue è la causa di questa pulsione irrefrenabile verso le uccisioni e, verso il sangue stesso; infatti lui uccide non perché vuole, ma perché deve. Però c'è una particolarità, lui uccide solo i serial killer, o persone che comunque meritano di morire, almeno secondo il codice di Harry. Chi è Harry? Harry è il suo padre adottivo, che accortosi della natura del figlio, cerca di incanalarla per servire una causa giusta, cioè quella di ammazzare altri uccisori (fondamento che mi convince poco).
Una delle prime cose che ho pensato guardando questa serie è che con un po' più di coraggio questo prodotto avrebbe fatto molto discutere. Mi spiego: come già detto si è scelto di parlare di un serial killer; il personaggio principale non è un eroe, anzi; è un cattivo, ma a sua discolpa si può dire che quella è la sua natura e che in ogni caso lui uccide solo i cattivoni. Ed è ovvio che con questo espediente gli spettatori possano prendere in simpatia il protagonista e tifare per lui (chi di noi non ha sperato, anche solo per un istante, di dare qualche bella lezione a qualche delinquente?), e farlo in maniera legittima. E se invece il protagonista fosse stato malvagio fin dentro le ossa? Sicuramente sarebbe stata un'altra serie. Anche perché sarebbe mancata quella sospensione del giudizio che fluttua costantemente.
Quello che mi ha affascinato maggiormente è tutta la descrizione delle dinamiche interiori del protagonista (il suo rapporto con il passeggero oscuro); come riesce a gestire il suo lato oscuro, ma soprattutto districarsi tra il suo lato e la vita di tutti i giorni. Dexter è una persona fondamentalmente onesta, fa i conti con se stesso in ogni momento, raramente si prende in giro e, si interroga continuamente su come coniugare il suo lato "malvagio" con la sua vita da cittadino, marito e padre. Non cerca facili soluzioni ed è in tensione continua con se stesso. Io credo che il colpo di genio stia in questo. Come uno dei miei narratori preferiti, Fedor Dostoevskij, che portava al parossismo il carattere dei personaggi per svelarne le peculiarità, così in quest'opera si porta al caso estremo un fenomeno (quello della convivenza comune con la parte oscura di noi stessi) per mostrarne le dinamiche principali e presentarlo nella sua interezza e complessità.
Tutti noi abbiamo qualcosa da nascondere e tutti noi ci rapportiamo agli altri nascondendo una parte di noi stessi. Non parlo semplicemente di manie, perversioni o cose del genere, ma semplicemente di lati del nostro carattere che non vogliamo mostrare agli altri, almeno non a tutti. Una chiusura del cerchio quasi poetica, a mio modo di vedere, è quella che riguarda i vetrini. Dexter non può parlare a nessuno della sua intima naura e, per questo, si sente solo. Intima natura nata nel sangue che lo porta ad uccidere persone. Egli segue sempre una sorta di rituale prima di compiere l'atto senza ritorno ed in questo atto lui è completamente onesto con le vittime, si apre con loro, confessa tutto a loro (la scena con lo psicologo è bellissima), crea un contatto, prima ovviamente di ucciderle e dopo averlo fatto, conserva un po' di sangue delle vittime in un vetrino da laboratorio. In questo modo, una parte di persone che sono state in contatto vero con lui, che gli sono state vicine, rimarranno con lui per sempre. Per molto questo è il suo unico modo di avere rapporti veri con le persone; tutto ciò nasce nel sangue e finisce nel sangue (anche se in un vetrino). Un'altro aspetto affascinante è quello delle conseguenze della continua ricerca di Dexter di creare rapporti con persone vive e, che rimarranno vive (si spera).
Nell'evoluzione delle reazioni dei personaggi che conoscono la vera natura di Dexter si apprende un messaggio direi quasi di speranza: non tutti reagiamo in egual maniera davanti alle stesse cose, non possiamo prevedere il comportamento umano, per quanto estrema sia la situazione; la nostra vita non è scritta, niente è scritto nella pietra.
Questi sono solo aspetti ed ogni stagione, ogni puntata ha questioni e tematiche di rilievo. Una delle serie più ricche di contenuti ed esilaranti (si perché c'è un sottofondo di autoironia fantastico) tra quelle in cui ho avuto il piacere di perdermi.

Potremmo dire Dexter tra Dostoevskij e Kurosawa; ma forse sono solo io che ho letto troppo del primo e visto troppo del secondo ed ora li cerco un po' dappertutto