lunedì 13 dicembre 2010

Cinequiz

Un classico

Virginia

Sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che chiunque avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se chiunque avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n'è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi. V

venerdì 26 novembre 2010

Non ti preoccupare

Ci sono solo due cose di cui ti devi preoccupare:o stai bene o stai male.Se stai bene non ti devi preoccupare.Ma se stai male,ci sono solo due cose di cui ti devi preoccupare:o guarisci o muori.Se guarisci non ti devi preoccupare.Ma se muori,ci sono solo due cose di cui ti devi preoccupare:o vai in paradiso o vai all'inferno.Se vai in paradiso non ti devi preoccupare.Ma se vai all'inferno,ti ritrovi tanto preso a salutare gli amici che non hai neanche il tempo di preoccuparti.Non ti preoccupare

Proverbio irlandese

venerdì 8 ottobre 2010

La breve estate dell'anarchia

Hans Magnus Enzensberger. La Breve estate dell'anarchia. Vita e morte di Buenaventura Durruti. Nonostante l'ironia di Moretti sull'autore e la televisione, devo dire che questa opera è eccezionale. Il libro raccoglie testimonianze sul movimento anarchico spagnolo ed in particolar modo sull'anarchico Durruti dagli anni '20 fino alla guerra civile spagnola. La prima cosa che mi è venuta in mente durante la lettura è che non esistono concetti assoluti. Nonostante sia contrario all'uso della violenza, devo ammettere che non riesco a condannare ciò che succedeva in quegli anni in Spagna; e non parlo della guerra civile spagnola, lì è ovvio che si facesse ricorso alla violenza, ma parlo di tutto ciò che aveva a che fare con il movimento anarchico prima della guerra civile, con gli assalti alle banche, con l'uccisione di vescovi, imprenditori e ministri. Erano gli anarchici degli assassini? Si, forse lo erano. Era giusto agire così? No, forse no. Potevano comportarsi diversamente? Dire proprio di no. In una delle nazioni più arretrate dell'intera Europa, dove milioni di contadini facevano letteralmente la fame per soddisfare la rendita di chiesa stato e militari (così sembra molto populista la cosa, ma da quel poco che ho capito non deve essere molto lontana dalla realtà), contadini che rappresentavano la stragrande maggioranza della popolazione e che dovevano patire la fame con i fucili puntati in faccia (letteralmente), l'uso della violenza per ottenere briciole di giustizia sociale era praticamente inevitabile. Senza dilungarmi su come funzionasse l'organizzazione anarchica in Spagna ( quasi un milione di aderenti ed un solo stipendio elargito, forse due), la cosa che colpisce maggiormente è lo slancio morale di questa organizzazione, dove nessuno possedeva nulla, dove si agiva individualmente per il popolo, ma non ci si aspettava niente da esso. Quando Durruti morì dovettero seppellirlo con scarpe rattoppate e, all'epoca era uno degli uomini più in vista del movimento antifascista in Spagna. Si agiva nella più completa illegalità, ma sempre in vista della giustizia sociale. Raccontare da narratore questo libro non rende l'idea perché il libro è costituito interamente di testimonianze e, raccontarlo in terza persona non fa altro che snaturarlo. MI viene in mente un'ultima cosa: il movimento anarchico spagnolo, la rivoluzione scaturita dopo la presa di Barcellona (la più importante in Europa dopo quella russa), le possibili conseguenza di una vittoria del fronte repubblicano, sono al contempo tra i fatti ed i futuri abortiti più importanti della storia europea e, nei licei praticamente non se ne parla. Non solo nei licei, ma nemmeno nei libri di storia di autori presumibilmente di sinistra..mah






sabato 12 giugno 2010

dolls

Sopravvissuto alla sessione d'esami (almeno nella parte necessaria) mi sono concesso dopo troppo tempo un altro kitano. Forse uno dei miei registi viventi preferiti.

venerdì 19 marzo 2010

A proposito di avanguardie

"Ora, credo che se non prestiamo attenzione a formulare in modo accurato ed articolato queste domande, rischiamo di produrre un discorso di nicchia dal punto di vista politico, oppure corporativo, da "addetti ai lavori artistici", dal punto di vista disciplinare. Se considerate questi due pericoli, se li intersecate, al punto di giuntura tra nicchia politica e corporativismo artistico ed estetico, troverete esattamente quello che storicamente si è chiamato un'avanguardia. ...... Mi ha colpito profondamente la domanda: "cosa dice l'arte o cosa dicono gli artisti dei movimenti". Se si sostituisce alla parola artisti quella, più datata, di intellettuali, ci si drizzerebbero i capelli in testa. Fa spavento. Vi immaginate un convegno nel quale si chieda all'arte e agli artisti di essere una sorta di coscienza lungimirante, gentilmente pregata di illuminare la mente nebbiosa dell'uomo qualunque e nella fattispecie, anche quella dei movimenti politici? Vi immaginate la riflessione politica ristretta ad una prospettiva in cui solo alcuni (per genio, specificità, dati anagrafici, ragione sociale, prezzo di mercato, o gloria artistica personale) abbiano diritto ad intervenire e siano riconosciuti come detentori di verità, mentre la stragrande maggioranza della "gente comune" si affida alla loro vista straordinaria, alle loro percezioni fuori dal comune? Vi immaginate un'Italia berlusconiana affidata a tanti nuovi piccoli D'Annunzio, magari anche (o soprattutto) di sinistra?..... Alle nicchie e gli specialismi si devono opporre l'intreccio, l'attraversamento, la contaminazione, la condivisione, la comunanza..... Qual è l'intreccio tra militanza politica e arte? Qual è, nonostante la loro diversità, il loro comune?...
La sperimentazione"

( Judith Revel al seminario Multiversity, all'interno di "L'arte della sovversione", a cura di Marco Baravalle, Manifestolibri,2009)

Cosa dire, il passaggio sull'Italia berlusconiana mi sembra triste. Credo che gli echi Chomskyiani siano evidenti in questo estratto; come sono evidenti in un film a me caro, Brian di Nazareth (forse questi echi esistono solo nella mia testa, ma non importa, è la stessa cosa). Da Musil (non che prima non ci fosse, solo che dopo è stata configurata in maniera diversa secondo me) in poi c'è questa idea che l'uomo non sia in grado di decidere del proprio essere e che debba affidarsi a singoli dotati di particolare qualità (genio, ragione sociale ecc....). A mio avviso questa visione individualistica è stata ribadita negli anni non solo in letteratura, ma anche in campi quali l'economia (da Walras in poi) ed il cinema (vorrei precisare che non bisogna fare confusione tra narrazione attraverso una prospettiva individuale ed esaltazione del singolo, certo le cose non sono indipendenti, ma non sono nemmeno la stessa cosa). Idea fortemente criticata da Chomsky che individuava in questo fenomeno una delle cause (alla radice forse) di indebolimento dei vari movimenti ed attivismi. Per concludere, in onore alla sperimentazione sopracitata un estratto del film suddetto. Ora la narrazione non è certo effettuata tramite prospettiva multipla, ma non credo ci sia esaltazione individualista, semmai tristezza per l'incapacità di rispondere alla responsabilità dell'agire comune.

http://www.youtube.com/watch?v=9lIK25YryWw&feature=related

Buona visione

lunedì 8 marzo 2010

Quest'anno niente mimose

Anche quest'anno è arrivato l'otto marzo e, come la maggior parte degli italici maschietti (maschi mi sembra troppo, oggettivamente) anche io voglio rendere omaggio al gentil sesso(1 - il concetto di rendere omaggio mi fa venir l'orticaria, 2 - gentil sesso, ovvero come obliare decenni di movimento femminista). Glissando sulle ovvie accuse di festa commerciale che ha perso lo spirito originario dell'evento, mi fa ridere il fatto che per festeggiare le donne si scelga un giorno in particolare quando tutto l'anno c'è ben poco da festeggiare. Si festeggia all'interno di un immaginario a dir poco triste, però si festeggia. Visto e considerato che non credo di essere una persona che possa agire al di fuori del "sistema" mi uniformerò alla maggioranza. Lo farò, però, cercando una strada personale o, almeno, con l'idea, impressione, illusione di percorrere questa strada personale (come sempre è alla fine; l'unica cosa certa, non vera, quando si agisce è la nostra percezione istantanea dell'azione). Vorrei proporre l'opera di una fotografa (forse ciò è riduttivo) austriaca, Birgit Jurgenssen (1949 - 2003).

La foto si intitola Jeder hat seine eigene Ansicht (ognuno ha il suo punto di vista, 1979). Tratta del nudo femminile e dello sguardo maschile all'interno di uno schema di negazione dell'immagine. La schiena nuda è dell'artista. Il titolo rimanda al concetto della pluralità dei punti di vista, concettuali e visivi (dello spettatore). In questo caso lo spettatore è maschile perché la scritta è declinata al maschile (in tedesco). Un'ambivalenza dunque tra ciò che si vede e ciò che si pensa di vedere, e ciò che ci si apsetta di vedere. Però la posa è statica. Il nudo femminile è occultato dall'immagine: la superficie del corpo, che coincide con quella dell'immagine, rimanda allo spettatore la frustazione dell'impossibilità di godere della visione del corpo della donna. Abbiamo la negazione del nudo in quanto immagine predominante del corpo femminile nella tradizione aritstica occidentale.

Note

Il commento è tratto da Giovanna Zapperi, "La soggettività contro l'immagine. Arte e femminismo". All'interno di "L'arte della sovversione" a cura di Marco Baravalle, Manifestolibri, 2009

domenica 31 gennaio 2010

Due anni! E l'anno prossimo all'asilo

Oggi questo blog compie due anni (meglio di un maiale). Di solito non sono incline alle autocelebrazioni, ma il verificarsi di questa ricorrenza mi ha fatto venire in mente un paio di cose. Forse questi pensieri riguardano più lo scrivere in sé, ma visto che lo scrivere nel mio caso si declina quasi esclusivamente nella produzione di post, credo vada bene anche così. L'atto di mettere nero su bianco un pensiero dona l'illusione di aver fissato un qualcosa altrimenti fuggevole e nebbioso, un qualcosa che altrimenti sarebbe andato perso e si è contenti perché si immagina di aver salvato dall'oblio un'idea preziosa, importante e si è grati a se stessi per questo eroico gesto. Stronzate (si scusi il francesismo). Quello che davvero mi viene in mente è quella specie di continuo che da Dostoevskij arriva fino a Magris, filo che ci illumina sulla vera natura dell'attività intellettuale, anzi, sul suo cuore: fisime. Nient'altro che fisime prettamente individuali ed allo stesso tempo universali. Se scegliamo di parlare di una cosa rispetto ad un'altra non è perché questa sia più vera di altre (è possibile poi fare una scala di cose più o meno vere???), o perché un concetto sia più profondo, fine od universale di un altro; semplicemente la nostra storia ha voluto che ci dedicassimo a tizio invece che a caio. Tutto qui. E come un mio amico mi insegna, un uomo non hai mai detto niente di originale, a prescindere dal tempo in cui ha detto questa cosa. Questo perché tutti andiamo a pescare in un sostrato comune che è formato solo in parte da ciò che hanno detto altri prima di noi, anzi in minima parte. Almeno da quando la storia dell'uomo ha preso una certa strada. Nonostante tutto, però, sono contento di aver scritto anche questo post. Cosa siamo se non fisime, simboli ed immagini? Ieri ho visto "A single man", grande riflessione esistenzialista immersa in una fioritura di simboli immaginifici.

Concludo con due citazioni ed una barzelletta.

"Il passato non esiste"

"La morte è il nostro futuro"

Barzelletta (premetto che vado a memoria perché non la ricordo benissimo):

Un asino ed un maiale si trovano a parlare, il maiale dice all'asino "Ma che brutta vita che fai, ti fanno portare pesi, ti picchiano, ti fanno mangiare poco, fai una vita di stenti e sofferenze. Guarda me che non faccio nulla dalla mattina alla sera, mangio a volontà e mi rotolo nel fango, non sei invidioso?". L'asino allora rispose "Ahh. Ma sbaglio o tu non sei quello dell'anno scorso?"

Saggezza somara

domenica 17 gennaio 2010

Quarta di copertina

L'idea per il post mi è venuta leggendo che ci sono persone (precisiamo non sono miei amici, diciamo amici di amici) che si fanno un'idea, un'opinione su un libro semplicemente leggendo la quarta di copertina. Ovvio che per avere un'idea vagamente precisa è necessario leggerlo un libro, peccato che di solito i libri si scelgano prima di averli letti (altrimenti al liceo non avrei mai comprato un libro di Vespa, mea culpa). Quello che mi è venuto in mente è quanto possano essere fuorvianti questi strumenti del diavolo (di marketing, quindi la stessa cosa) per via di ragioni quali l'idiozia, la superficialità od altro. Da precisare che non tutte le q. di c. sono fatte male (ricordo che quella dell'idiota riportava un pensiero di Nietzsche, quindi era una grande q. di c.), però ce ne sono alcune incredibili. Vorrei fare due esempi. Primo esempio: sulla q. di c. di pastorale americana c'è una citazione (The New Yorker) che recita "Pastorale americana è un romanzo di quattrocento pagine che finisce con un punto interrogativo. Questo è ciò che lo rende grande". Cosa? Sarebbe il punto interrogativo finale a rendere il libro di Roth un capolavoro? A parte che di punti interrogativi ce ne sarebbero diversi e su più livelli, ma come disse il già citato (su questo blog) ratzi "soprassediamo". Su questo colpo di genio non voglio nemmeno soffermarmi. Secondo esempio: questo è un caso un po' più interessante perché la q. di c. in esame (quella de "Il signore delle mosche") dice (si parlano anche le q. di c.) cose apparentemente condivisibili e sensate circa lo svolgersi del racconto; apparentemente. Cito testualmente "Sembra il prologo ideale per un romanzo d'avventura che celebri il pragmatismo e il senso della democrazia britannici". Ora le cose sono due: se per prologo si intende tutto ciò che è raccontato prima dell'elezione di ralph, ok posso esser d'accordo; peccato che in quel frangente non succeda niente, se non la presa di coscienza della situazione da parte di piggy e ralph con un piccolo antipasto di cattiverie gratuite (e già qui...). Se invece per prologo vogliamo includere anche l'elezione di ralph, allora vorrei sapere dove sta il senso della democrazia in un elezione per acclamazione e non con argomenti razionali, ma carismatici e quasi totemistici (lui aveva la conchiglia). Quando il capo sarà Jack è ovvio che la situazione andrà a farsi benedire, ma già nelle prime pagine si getta una luce, seppur fioca, su quei semi di oscurità e indicibile che saranno i protagonisti del racconto. Troppo semplice secondo me commentare che quando si ammazza si è irrazionali e quando si accendono fuochi si è pragmatici. Sottile e velato il mondo pulsionale era lì che si annidava in quelle pratiche solo apparentemente democratiche. Se un gruppo elegge un capo tramite votazione, non è detto che quella sia democrazia, bisogna conoscere gli argomenti e lo stato d'animo individuale nei momenti di aggregazione (dove sono canetti e kierkegaard??). Forse sarebbe meglio non leggerle le quarte di copertina. Ora penso"è vero che il nostro presidente (meno male che c'è) è stato eletto dalla maggior parte degli italiani e senza brogli, ma è stato eletto democraticamente??????..

Dalla faccia lui non sembrerebbe d'accordo


sabato 2 gennaio 2010

Ratzi uno di noi!

Questo è quello che direbbe un appartenente ad un qualsiasi gruppo maschilista. L'altro giorno il massimo esponente della nota organizzazione Chiesa cattolica apostolica romana, anche conosciuta come "Vaticano" si è espresso circa la finalità ultima della donna in questa esistenza, servendosi del pensiero di un teologo medioevale, come l'ansa ha riportato. Quello che potrebbe sembrare come un riconoscimento di una realtà che dovrebbe essere ovvia (cioè che uomini e donne sono esseri ed in quanto esseri dovrebbero vivere le proprie vite, ognuno accostandole il senso o la finalità che desidera) altro non è che un'implicita e aggiungo fine ripetizione di quello che sembra essere un dogma velato (ma nemmeno tanto) di questa organizzazione: l'inferiorità della donna, o comunque la sua subordinazione all'esistenza maschile. Analizziamo la frase: "Dio ha voluto che la donna fosse una 'compagna' dell'uomo, 'non una sua schiava ne' una sua 'dominatrice". Non si può non esser d'accordo sul fatto che la donna in quanto tale non debba essere schiava o dominatrice (stranamente sento echi desadiani); possiamo anche esser d'accordo sul fatto di essere compagni. Semre meglio che colleghi. Ora cari compagni (ops mi è scappato),prescidendo dalla funzione di compagna schiava o dominatrice, la donna sarebbe comunque creata in funzione dell'uomo; la sua esistenza è subordinata a quella dell'uomo. Ma non per via della costola. Dio è talmente potente (Griffin insegnano) che avrebbe potuto crearla anche dal nulla. Ma per via del ruolo per la quale è stata creata, per essere la compagna dell'uomo. Non è venuta al mondo per essere tout court, ma per essere qualcosa per qualcuno ed in questo caso l'uomo. Dopo faccia quello che vuole, ma rimane un vizio di partenza. Lei resta un essere in funzione di un altro essere e questo è quanto, sempre secondo "Ratzi".
Io capisco (almeno da questo punto di vista) che degli uomini applaudano(magari nella loro stupidità possono vedere ciò come un vantaggio), ma una donna???

P.S. Un esempio della potenza sopracitata di Dio qui.